di Marco Rizzi

Underrated Classic (BW)

Year of the Lord 1991. Sono trascorsi soltanto quattro anni dal lancio della prima Air Max, la scarpa con cui Nike ha rivoluzionato il mercato delle calzature sportive presentando al mondo l’“aria visibile”. In questo breve periodo la linea Air Max è cresciuta e si è sviluppata: non più un rischioso esperimento, ma una delle più importanti e identificative per lo Swoosh. A partire dal 1987 l’evoluzione tecnologica di Air Max è stata incessante, migliorando la sua creazione originale Tinker Hatfield ha firmato, oltre all’Air Max 1, altri due grandi classici come l’Air Max Light e l’Air Max 90.

Proprio nel 1990 Hatfield iniziò a lavorare al quarto capitolo della saga “Air Max”, il primo che sarebbe stato incluso ufficialmente nella neonata linea “International”, di cui avrebbero fatto parte anche Pegasus, Mariah e Air 180. A livello tecnologico l’Air Max IV, primo nome che appare sugli sketch della futura BW, rappresenta se possibile un rallentamento nell’innovazione tecnologica della linea AM. La bolla inserita nella suola è la stessa dell’Air Max 90, a cambiare è la dimensione della “finestra” che la rende visibile, che aumenta del 5%. Da qui nasce uno dei nomi con cui il modello sarebbe diventato noto in tutto il mondo: Air Max “Big Window”.

Le similitudini con l’Air Max 90 si fermano però alle dimensioni della bolla. Con la BW Hatfield decise di realizzare un modello running più stabile, ridisegnando completamente sole unit e pattern del battistrada. Anche a livello estetico 90 e BW non potrebbero essere più diverse: il particolare “Persian Violet” rimpiazza il “Radiant Red” e la BW segna il debutto del neoprene nella linea Air Max, segno evidente della “rivoluzione Huarache” avvenuta proprio in quei mesi.

Nelle stesse settimane del 1990 Hatfield era impegnato contemporaneamente su più progetti. Oltre alla BW, TH si trovò a sviluppare anche quella che il mondo avrebbe poi conosciuto come Air 180, il primo modello che, come lascia intuire il nome, vede l’utilizzo di una bolla esposta per 180°. Se la BW segna un rallentamento nell’evoluzione della tecnologia Air Max, la 180 al contrario è un terremoto. Da subito l’importanza della 180 e l’imponente campagna pubblicitaria attuata da Nike (con pubblicità esclusive per ogni nazione e l’intervento di Ridley Scott e David Cronenberg) eclissarono la BW, relegata così a semplice “alternativa low cost” per i runner di tutto il mondo, una concorrenza troppo difficile da contrastare.

La “rivalità silenziosa” tra BW e Air 180 finì per protrarsi ben oltre gli Anni ’90, raggiungendo il suo culmine nel 2005. Con una scelta particolare (che l’autore di questo articolo potrebbe definire criminale) Nike decise di inserire l’ Air 180 al posto dell’ Air Max BW nella linea evolutiva della tecnologia Air Max nell’imponente progetto “History of Air”. Non essendo l’Air 180 ufficialmente un’Air Max, lo Swoosh decise di ribattezzare il modello AM180 per evidenziarne il legame con la genealogia originale delle bolle e consolidarne il ruolo.

Per questo motivo agli occhi di molti, soprattutto tra i più giovani, l’ Air Max BW ha “perso” il suo posto nella storia di Air Max, finendo per essere inevitabilmente relegata ad un ruolo marginale e, successivamente, dimenticata.

Back to 1991. Nonostante la BW non sia il modello di punta di quell’anno per Nike e anche l’attenzione dei runner sia altrove, il modello è un successo di vendite – soprattutto in Europa. All’inizio degli anni ’90 i tempi dello sportswear e del lifestyle sono ancora molto lontani e il focus di Nike è tutto su tecnologia e prestazioni. La vita media di un modello dello Swoosh è di circa un anno, destinato a essere rapidamente sostituito da un’alternativa più leggera, più evoluta e più utile alle esigenze degli atleti. Anche questa volta l’Air Max BW si dimostrò diversa da tutte le sneakers contemporanee: un raro caso in cui furono il volume delle vendite e l’affetto del pubblico a mantenere “in vita” e a catalogo un modello. Con frequenza altalenante la BW restò in produzione fino al 1996. Nei quasi cinque anni trascorsi tra la release originale e i Giochi Olimpici di Atlanta Nike rilasciò circa trenta diverse colorway dell’Air Max BW, alcune delle quali destinate al solo mercato europeo. Una delle più amate da collezionisti e appassionati è proprio una delle ultime: una BW vestita con il navy, il rosso e l’oro di Team USA, rilasciata proprio in occasione delle Olimpiadi del 1996.

Bald Terror

La storia della BW fuori dal mondo delle sneakers è, se possibile, ancora più difficile da decifrare. Per molti, soprattutto in Europa, l’Air Max BW “Classic” è e sarà per sempre la scarpa dei Gabber, componente fondamentale di una divisa composta da tute sintetiche e teste rasate che il mondo ha cominciato a conoscere a metà degli Anni ’90. È complicato dire come una sottocultura olandese legata a una sfumatura martellante di musica elettronica abbia saputo prima conquistare il grande pubblico nei Paesi Bassi, per poi diventare parte della cultura pop in tutto il mondo finendo per influenzare, come al solito, moda e streetwear. Se in altri casi il ruolo “di strada” di una sneaker viene sminuito e accantonato alla stregua di un incidente di percorso, la BW è invece diventata con orgoglio un simbolo dei Gabber e della musica Hardcore, creando un legame difficile da sciogliere che ha forse dato alla scarpa la meritata gloria che non ha saputo ottenere ai piedi dei runner di tutto il mondo.

[Gli anni ‘90] erano un periodo in cui una colorway non aveva bisogno di una stupida narrativa dietro di sé. Era stupenda. Nel corso degli anni abbiamo avuto ben poche spiegazioni riguardo la perfezione della “Persian Violet”. Non ci serviva un fondamento logico allora e non ci serve oggi. Semplicemente lo era.

Gary Warnett – Bigger Windows, Crepe City Magazine Issue #2 – 2016

Author Marco Rizzi