di Marco Rizzi

A metà degli anni ’80 Reebok è un marchio conosciuto e affermato, con ottimi modelli per basket, tennis e calcio e, soprattutto, uno dei protagonisti dell’enorme moda del fitness. È però nel periodo immediatamente successivo, quello a cavallo con gli anni ’90, che Reebok introduce ed utilizza in varie sneakers il suo brevetto più celebre, ovvero Reebok Pump, che fa il suo esordio nel 1988 con la release della Reebok The Pump, una scarpa da basket mai vista prima ed unica nel suo genere che utilizza delle sacche gonfiabili poste nella linguetta per permettere ai cestisti di raggiungere la calzata perfetta. Nel corso degli anni Reebok sviluppa e migliora questa tecnologia, tanto da renderla uno dei suoi tratti distintivi per oltre quindici anni. È, infatti, nel 1994 che vede la luce uno dei più celebri modelli ad utilizzare la tecnologia Pump, sicuramente il più controverso ed estremo a livello di design: la Reebok InstaPump Fury. La Fury è disegnata per Reebok dal celebre designer Steven Smith che propone al brand un modello che ha poco a che fare con molte delle scarpe da corsa contemporanee.

Prima di tutto, la tomaia è quasi completamente costituita da una sacca di plastica stampata a caldo con una pompa ed una valvola poste vicino al collo del piede. Tramite questa pompa si poteva gonfiare la sacca che, grazie alla forma avvolgente e a un sistema di saldature, si adattava al piede convogliando l’aria nei punti in cui esercitare più pressione. La particolare forma della punta si ispira a quella della New Balance 320, probabilmente l’unico elemento tradizionale nella costruzione della Fury. Se la struttura della tomaia non dovesse bastare, quella della suola risulta ancora più azzardata e fuori dal comune. Smith decise di eliminare la porzione mediale della suola, separando così l’avampiede ed il tallone, che venne a sua volta sagomato in una forma simile ad un ferro di cavallo. Le due parti della suola furono montate su una piastra antitorsione Graphlite e completate da un’unità di ammortizzazione Hexalite posta nel tallone e visibile attraverso tre aperture nella struttura a nido d’ape.

Sembra paradossale pensare che Steven Smith sia contemporaneamente padre di un modello dalla linea pulita come la New Balance 574 e di un modello che sembra arrivare dallo spazio come la InstaPump Fury, ma la giusta chiave di lettura sta nell’approccio con cui il designer ha affrontato il progetto affidatogli da Reebok. La Fury è la sintesi delle migliori tecnologie presenti all’epoca ed utilizza molti dei brevetti lanciati da Reebok negli anni precedenti in altri contesti come tennis e basket per creare un prototipo della scarpa da running del futuro, dove anche un paio di lacci ha un peso eccessivo.

Nonostante l’impegno profuso e l’ideazione di modelli alternativi come la Fury Tennis e la Fury 2 (entrambi mai realizzati ufficialmente), la InstaPump Fury non divenne mai un esempio da seguire per costruire nuovi modelli da corsa, ma divenne rapidamente uno dei simboli della ricerca tecnologica e dell’esasperata corsa all’innovazone degli anni ’90, affermandosi quindi come uno dei modelli più amati dai collezionisti e dai fan del brand di Bolton.

La Fury ha un rapporto molto particolare con il pubblico giapponese, che da subito si innamorò del nuovo modello. Probabilmente fu l’aspetto così futuristico per un modello del 1994 a renderla così amata in Giappone, dove proprio in quegli anni alcuni giovani ossessionati dai modelli dei brand statunitensi importavano modelli come la Air Max ’95 e proprio la InstaPump Fury a prezzi esorbitanti, creando così canali di secondary marketing che hanno fatto da base per la nascita di molti degli elementi che ancora oggi caratterizzano la sneaker culture. A tutto questo bisogna anche aggiungere che Reebok decise di lanciare la Fury in Asia utilizzando come testimonial Jackie Chan e, addirittura, producendo nel 1997 una colorway speciale del modello per celebrare il passaggio di sovranità di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina, denominata appunto “HK Handover”.

Spesso nel mondo delle sneakers si abusa della parola “icona” riferendosi a modelli la cui esposizione dura lo spazio di un trend. Sono invece davvero poche le sneakers che riescono a diventare davvero di culto, introducendo elementi che segnano l’industria per gli anni a venire. Non è un caso che Steven Smith sia uno degli sneaker designers più celebri e la sua creazione sia oggi esposta nei musei di Design Industriale. La Reebok InstaPump Fury resterà per sempre un’Icona.

Author Marco Rizzi