Provare a raccontare una cultura come quella legata alle sneakers è molto complicato e, purtroppo, molte delle figure che meglio rappresentano questo mondo faticano a raccontarsi.
Mattia Rossi ci ha provato con 42.5, un documentario dedicato alla Sneaker Culture italiana che nelle due Premiére organizzate a inizio anno a Milano e Roma con Special Sneaker Club e Ginnika ha stupito molti (compresi tanti scettici) per l’enorme rispetto con cui si è approcciato al mondo delle sneakers e ai suoi personaggi, dando a ognuno la possibilità di raccontare la propria passione e la propria visione della sneaker culture, sempre in equilibrio tra passione e business.
Mattia è prima di tutto il papà di Leonida e, soltanto in seconda battuta, “the man behind the camera”, l’ideatore e il realizzatore del progetto 42.5 . Nel suo curriculum si trovano esperienze da autore per grandi produzioni (Sky, Mediaset) e progetti personali a cui ha dedicato, come sempre, tutto sé stesso. La sua bio sul profilo Instagram di 42.5 racconta: “Modenese doc, schermidore e grande appassionato di sport, soffre per il “suo” Torino. Ha assistito a due Olimpiadi (Atene 2004, Torino 2006), con la speranza di aggiungerne una terza con Tokyo 2021”.
Ci conosciamo bene ormai, quindi ho preferito occuparmi in prima persona delle presentazioni di rito. Vuoi aggiungere qualcosa?
Mah. In realtà hai già fatto tu lo spiegone su chi sono, se mi ci metto anche io facciamo notte.
Correggimi se sbaglio, ma tu non nasci Sneakerhead. Cosa ti ha spinto ha scegliere un argomento così complesso (e dibattuto) come le sneakers per realizzare il tuo documentario?
Allora, io nasco come grande utilizzatore di sneakers, soprattutto per ragioni sportive. Sono schermidore da 30 anni, ho giocato a pallavolo, ho fatto un po’ di atletica e quindi, giocoforza, dovevo cambiare spesso tipologia di sneaker a seconda delle attività. Ad un certo punto della mia vita ho cominciato a portarle anche fuori dal contesto sportivo e, complice la mia innata curiosità e la costante voglia di essere “fuori dal coro”, mi sono sempre informato sulle collaborazioni o sulle edizioni limitate, che notoriamente hanno dettagli, colori e particolarità che le rendono “diverse” dal normale (suscitando peraltro le ire di mia madre che non mi ha mai risparmiato frasi come “ma che diavolo di scarpe hai comprato??”). Senza mai, però, andare in fotta come un OG.
La voglia di fare questo documentario è partita fondamentalmente grazie a lei, mia Mamma. A metà del 2018, quando c’è stata un’impennata di interesse da parte dei media generalisti per questo mondo che aveva un mercato in fortissima espansione, guardando uno dei tanti servizi dei TG che parlavano di “scarpe da ginnastica che fanno guadagnare tanti soldi”, lei mi fa: “ecco, quelli li sono peggio di te!” Così ho pensato che potesse essere una buona idea raccontare tutto quello che ancora non era stato raccontato, ovvero la parte legata agli appassionati, agli Sneakerhead (di cui sapevo dell’esistenza già da tempo), facendo emergere la parte più romantica legata alla passione per quell’oggetto, senza limitarsi a un discorso economico. Poi ho sperato, facendo così, di far capire a mia madre perché ho sempre comprato scarpe strane. Ma mi sa che non ci sono riuscito.
Com’è cambiato il tuo rapporto con le sneakers nei quasi due anni che sono ormai trascorsi dall’inizio delle riprese di 42.5?
Quando entri in un sistema chiuso, per raccontarlo è utile cercare di esserne parte. Sicuramente questo mi ha condizionato, nel senso che non ho mai comprato così tante scarpe come negli ultimi anni, qualche volta anche facendo acquisti non così necessari. Però è stato interessante ed utile per arrivare a capire come ragiona uno sneakerhead, ed ora la frase (che ho sentito spesso da parte di tutti i protagonisti di 42.5) “la devo avere perché la devo avere” la capisco molto di più. Mia madre no, però questa è un’altra storia.
Di buono c’è che conoscere meglio questo mondo mi ha aiutato a capire anche come ritrovare le scarpe che avevo in gioventù, e che, essendo io abbastanza nostalgico, sto cercando di rimettermi ai piedi.
Provo a metterti un po’ in difficoltà: qual è l’elemento della Sneaker Culture che hai “scoperto” durante le riprese che ti è piaciuto di più? Quale invece di meno? Riconosco che alcuni aspetti del “nostro” mondo possono essere discutibili se visti dall’esterno…
Quello che mi è piaciuto di più è stato scoprire quanto possa essere profonda una passione per un oggetto che per la massa è qualcosa che serve per camminare, mentre per uno sneakrehead è tutt’altro. La scarpa, per un collezionista, è come un libro che racconta delle cose, delle emozioni, che riporta a ricordi di persone, eventi e sensazioni. È un ponte emozionale che regala vibrazioni ogni volta che viene presa fuori dalla scatola ed indossata. Qualche volta ho anche pensato che questo modo di vivere quell’oggetto, slegandolo da una mera funzionalità oggettiva fosse esagerato. Pero poi ripensavo ad esempio ad Attilio che mi parla della sua dunk preferita legata ai venditori di taco giapponesi, o a te che mi racconti la storia delle “Shima Shima 3”, mi viene il sorriso e mi stacco dal pensare freddamente alla scarpa come oggetto funzionale e basta.
Quello che mi è piaciuto meno, ma di cui è stato necessario parlare perché fa parte del game, è la parte economica, che oggi come oggi è il core, soprattutto per i più giovani. Forse la vedo così perché sono vecchio ed il mio modo di pensare rispecchia più una mentalità OG, però era seccante vedere come si muovessero i più giovani rispetto ai più vecchi, concentrando l’interesse solo ed esclusivamente sul valore di transazione economica con l’equazione costa tanto quindi è bella. Ecco, quella roba li non mi è piaciuta e non mi piace, però esiste e non raccontarla sarebbe stato un errore da principiante. Ci sono anche le eccezioni e tu sei uno di questi. Hai la metà degli anni di Attilio e di tanti altri collezionisti ma vivi le sneaker esattamente come le vivono loro. E questo mi restituisce un po’ di fiducia nel futuro dell’umanità.
Qual è stato il momento più divertente durante le riprese? C’è qualche aneddoto legato a 42.5 che vuoi raccontarci?
Guarda, di momenti divertenti ce ne sono stati tanti e non ce n’e uno in particolare. Mi sono divertito in ogni intervista che ho realizzato, e posso dire che entrando in empatia con alcuni dei protagonisti del documentario, oggi li considero amici e quindi è più facile che si creino momenti divertenti tra di noi. Non so se ricordi (ma sono sicuro di si) quella notte del drop delle adidas ZX8000 “Aqua” quando io e te ci siamo rincorsi disperati tra messaggi e telefonate perché ognuno doveva aiutare l’altro per prendere la scarpa col terrore di non riuscire ad averle. Io ho riso molto, e mi sa anche tu. Oggi come oggi una delle cose più divertenti per me è dare addosso (in simpatia) a Gio Vignudelli, un mio corregionale bolognese con cui ho legato davvero molto.
Con Special Sneaker Club abbiamo avuto modo di essere molto coinvolti nella realizzazione di 42.5, prima come ospiti e poi come sede di una delle due Premiére di inizio anno, così come la crew romana di Ginnika. Come ti è sembrata la risposta durante le proiezioni? Quali sono le principali differenze che hai riscontrato tra la scena milanese e quella romana?
Le proiezioni sono andate bene (o almeno ho avuto quersta sensazione). Milano è stata più sobria, tutte le persone che sono venute erano lì per vedere il documentario. A Roma i ragazzi di Ginnika grazie alla collaborazione con Urban Jungle, hanno creato una situazione più festaiola, dove ci sono state anche persone che sono passate a fare un saluto senza magari fermarsi per la visione completa del video. In entrambe le premiere però ho sentito la partecipazione ed il coinvolgimento nel progetto, cosa che non sempre è scontata. Il fatto che “a busta chiusa” voi di Special Sneaker Club, i ragazzi di laced up, la crew di Ginnika ed urban jungle abbiano creduto nella visione di questo mondo raccontata da un carneade qualunque, mi ha veramente ripagato della fatica fatta per realizzarlo.
Qual è il futuro di 42.5? Come prosegue questo progetto? (qui se vuoi parlare delle attività online penso che i tempi coincidano, l’itw uscirà comunque nelle prossime due settimane).
Con la buriana creata da questo maledetto Covid-19, il progetto iniziale di 42.5 si è, per il momento, bruscamente arrestato. Stavo lavorando per trovare il modo di distribuirlo e farlo arrivare a più persone possibili, ma la situazione sanitaria ha imposto uno stop. Però ho cercato di non perdermi troppo d’animo (nonostante ci siano stati momenti di forte scoramento, come penso abbiano avuto tutte le persone che come me lavorano come battitori liberi), e mi sono inventato un format live che porto avanti tramite il profilo instagram @42punto5, il profilo ufficiale del documentario. Si chiama 42.5 in #ciabatte, e si tratta una serie di interviste pensate inizialmente solo con i protagonisti del documentario. Poi mi son detto: perché limitarmi ad intervistare i protagonisti su temi inediti che non sono stati inseriti all’interno di 42.5? perché non tirare dentro anche altre persone legate al mondo sneakers , come collezionisti, appassionati e perché no, atleti, non inseriti nella scaletta del documentario? E coì è stato. 42.5 in #ciabatte è l’apostrofo giallo tra le parole “potete” e “uscire”, le due parole che oggi come oggi speriamo escano dalla bocca di chi ci governa il prima possibile. Cerco di dare leggerezza, allegria, mi faccio prendere in giro da voi con i commenti, faccio un po’ di informazione per passare queste giornate buie nel miglior modo possibile, in attesa che 42.5 possa tornare a correre come spero si meriti.
Chiudiamo con un gioco. Ti chiedo di scegliere un modello, un negozio o artista per realizzare una collaborazione e qualche spunto per colori e materiali. Qual è la collabo ideale per Mattia Rossi?
Il mio sogno più grande oggi come oggi è uno solo: quello di avere ai miei piedi ancora una volta una new balance 1600 OG, esattamente come quella che avevo quando andai ad Atene nel 2004, in vespa, per assistere ai giochi olimpici. Uscì un paio di anni fa sul mercato brasiliano, una release strana che tu mi hai raccontato, ancora mi commuovo al pensiero di quella scarpa che mi ha accompagnato nell’avventura più bella della mia vita. Se poi venisse realizzata con i 5 cerchi ricamati su linguetta e tallone, magari in collaborazione con il CIO, beh, mi libererei di tutte le mie sneakers per riempire la scarpiera con 15 paia di quelle. Sognare non costa nulla.